La tradizione dell’outdoor education

 

La tradizione dell’outdoor education

 

L’idea antica e allo stesso tempo nuova dell’importanza dell’educazione all’aria aperta, ha delle radici profonde: nel mondo greco-romano, nella Ca’ Gioiosa di Vittorino da Feltre nel Quattrocento e nelle riflessioni di Jhon Locke della fine del Seicento. Tutte queste esperienze testimoniano l’importanza dell’attività all’aperto come sviluppo armonico della personalità, per un corpo sano grazie ad una mente sana, come recita il motto antico. In particolare, fu Rousseau a tramandare la centralità dell’ambiente naturale come luogo di esperienza che presuppone la conoscenza e l’apprendimento delle varie discipline. Anche Fröbel, citato da Farné e Agostini,  individuò nell’ambiente esterno e nella natura i luoghi privilegiati dell’apprendimento: «Non è meno importante e atta allo sviluppo del fanciullo la sua inclinazione a discendere in caverne e burroni, a camminare per i boschetti ombrosi e nelle oscure foreste. È il desiderio di cercare cose non ancora trovate e di trovarle; il desiderio di portare alla luce e di avvicinare a sé ciò che si trova nell’oscurità e nell’ombra e di appropriarsene, facendolo suo. Dai suoi viaggi di esplorazione il fanciullo porta a casa pietre, piante e animaletti che ha trovato nel buio più nascosto: bruchi, scarabei, ragni, lucertole, come un ricco trofeo […]; un fanciullo veramente robusto, in questa età, non si troverà sempre sulle vette, nelle profondità o nell’oscurità. Lo stesso impulso, che lo spinse sui monti e nelle valli per guardarsi attorno e cercarsi nuove conoscenze, lo terrà anche in pianura. Guardatelo, egli si sta costruendo sotto la siepe, presso il recinto del giardino di suo padre, un giardinetto. Là, in una rotaia o in un fossatello, egli si rappresenta il corso di un fiume. L’effetto di una cascata o della spinta dell’acqua contro il suo piccolo mulino gli fa acquistare nuove osservazioni e conoscenze…»[1].

Dall’esperienza di Baden Powell e dello scoutismo fino alle scuole nuove di Cecil Reddie e Haden Badley in Inghilterra, di Demolins in Francia, di Lietz in Germania, delle sorelle Agazzi e delle Case dei Bambini di Maria Montessori, della Pizzigoni a Milano e dell’open air inglesi fu un pullulare di nuove esperienze educative basate sull’attivismo pedagogico che esaltavano ed assegnavano un ruolo chiave all’ambiente naturale. Successivamente a queste iniziative si diffusero le scuole all’aperto con uno scopo ben preciso: migliorare le condizioni fisiche e psicologiche degli alunni. Queste scuole all’aperto ebbero il grande merito di riportare l’attenzione sulle pratiche antiche, che si rivelarono di grande attualità. Si cercò di offrire come prima risorsa educativa quella dell’ambiente che ci circonda, di sviluppare negli alunni l’attitudine al fare, all’esplorare, alla conoscenza profonda della natura, prima vera maestra di vita, al risveglio dei sensi e degli interessi e desideri degli alunni che la scuola tradizionale nemmeno si preoccupava di considerare. Particolare rilievo venne dato alla coltivazione e alla conoscenza delle varie specie di piante, alla coltivazione dei fiori e all’allevamento degli animali. L’educazione all’aperto a contatto con la natura ha come finalità quella di accompagnare gli alunni dalla scuola dell’infanzia alla scuola elementare verso l’autonomia, condizione che si può raggiungere solamente tramite la pratica di esperienze concrete, il lavoro manuale e l’abbandono dell’eccesso di protezione da parte di genitori e insegnanti. Per favorire le scoperte naturali bisognerebbe insegnare meno e condividere di più, essere più ricettivi poiché in natura ogni momento può essere interessante, focalizzare l’attenzione dei bambini e sperimentare prima di parlare[2].

Un altro ambizioso obiettivo dell’outdoor education è il prendere coscienza della crisi ambientale, connessa ai comportamenti dell’uomo nella sua routine quotidiana. Da troppo tempo ormai si è abituati a considerare la natura come un oggetto, come un bene inesauribile. Occorre cambiare i comportamenti e prendere coscienza della crisi ambientale. Per risolvere questa problematica di portata mondiale una delle vie possibili è la pedagogia, grazie ad essa si può lavorare sui comportamenti per modificare le abitudini. Bisogna riflettere anche sull’educazione che si dà ai bambini in relazione allo spazio naturale che li circonda. In quest’ottica è di fondamentale importanza frequentare i giardini, i boschi, le riserve naturali al di là di quelle che sono le condizioni atmosferiche o la selvatichezza dei contesti; ma in particolare è necessario il passaggio da un’ottica del divieto a un’ottica del possibile. Grazie al modello del possibile si può comprendere sul campo che la povertà dei materiali naturali o l’etica del recupero siano enormi ricchezze. Bisogna privilegiare il fare non solo inteso come fine a se stesso, ma immergersi nell’ambiente naturale per imparare a non danneggiarlo con l’intenzione di preservarne le risorse[3]. Gli spazi di gioco accessibili ai bambini sono sempre più artificiali e stimolano poco o per nulla il movimento: mancano occasioni per giocare senza essere controllati, fare chiasso, inventare segreti e vivere liberamente avventure. Al contrario di ciò che si pensa, il bambino non è destinato a crescere naturalmente come un amante della natura per questo bisogna stimolarlo a sentirsi parte di essa; si può partire proprio dalla sua meraviglia e curiosità per riuscire in questo intento.[4]

 

[1] Cfr., Brugnara R., Zannoner M. (a cura di), Laboratorio a cielo aperto. Scuola e ambiente, esperienze educative, op. cit., p.46.

[2] Cfr., Cornell J., Scopriamo la natura assieme ai bambini. Quaranta percorsi di gioco per condividere con i bambini la conoscenza del mondo naturale, Edizioni Red, Como, 1992, pp. 14-15.

[3] Cfr., Chistolini S., Pedagogia della natura. Pensiero e azione nell’educazione della scuola contemporanea: Asilo nel Bosco, Jardim-Escola João de Deus, Outdoor education, FrancoAngeli, Milano, 2016, p.125.

[4] Cfr. Beneventi P., I bambini e l’ambiente. Per un’ecologia dell’educazione, op. cit., p. 21.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *